La Storia della Cisl

Un lavoratore, da solo, difficilmente riesce ad ottenere miglioramenti salariali e normativi. Per questo, fin dall’Ottocento, i lavoratori hanno cominciato ad unirsi, organizzandosi in sindacati, per cercare di migliorare le proprie condizioni lavorative e, più in generale, le proprie condizioni di vita.

Parlare della storia della Cisl è raccontare una parte importante della storia del sindacato in Italia, quel sindacato sorto nell’Italia repubblicana, libera e democratica, nata all’indomani del secondo conflitto mondiale.

La Cisl nasce in un momento in cui l’Italia, e con essa il mondo del lavoro, era divisa ideologicamente e politicamente. Da una parte la democrazia occidentale, dall’altra il comunismo. Allora si fece una scelta in nome del progresso, della democrazia e della libertà della persona. Il crollo del sistema comunista ha dato ragione alla Cisl, ma soprattutto ha confermato la validità delle sue idee ispirate dal cattolicesimo democratico e dal riformismo laico. Ancora oggi l’identità della Cisl si impernia sull’autonomia del sindacato, sempre difesa, rispetto ai partiti politici e alle istituzioni. I valori tramandati dai padri fondatori della Cisl, di Giulio Pastore e Mario Romani, sono ancora oggi valori della cultura democratica e della civiltà del Paese.

IL SINDACATO DEMOCRATICO E I VALORI. La Confederazione italiana sindacati lavoratori si richiama e si ispira, nella sua azione, ad una concezione che, mentre vede la personalità umana naturalmente svolgersi attraverso l’appartenenza ad una serie organica di comunità sociali, afferma che al rispetto delle esigenze della persona debbano ordinarsi società e Stato.

Le posizioni che essa prende dinanzi ai problemi dell’organizzazione economica e sociale mirano a realizzare la solidarietà e la giustizia sociale, mediante le quali si consegue il trionfo di un ideale di pace. Essa ritiene che le condizioni dell’economia debbano permettere lo sviluppo della personalità umana attraverso la giusta soddisfazione dei suoi bisogni materiali, intellettuali e morali, nell’ordine individuale, familiare e sociale.

Essa constata che le condizioni attuali del sistema economico non permettono la realizzazione di questo fine e pertanto ritiene necessaria la loro trasformazione, in modo da assicurare un migliore impiego delle forze produttrici e una ripartizione più equa dei frutti della produzione tra i diversi elementi che vi concorrono:

sul piano interno, mediante:

  • la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’unità produttiva e la loro immissione nella proprietà dei mezzi di produzione;
  • la partecipazione dei lavoratori alla programmazione ed al controllo dell’attività economica;
  • l’attuazione di radicali riforme atte all’utilizzazione, nell’interesse della collettività, di tutte le risorse del Paese;

sul piano internazionale, mediante:

  • la solidarietà internazionale dei sindacati lavoratori liberi e democratici;
  • l’unificazione economica dei mercati come premessa della unificazione politica degli Stati.

Essa intende promuovere queste trasformazioni con il libero esercizio dell’azione sindacale, nell’ambito del sistema democratico; afferma che le organizzazioni sindacali devono separare le loro responsabilità da quelle dei raggruppamenti politici, dai quali si distinguono per natura, finalità e metodo di azione; intende rivendicare costantemente la piena indipendenza da qualsiasi influenza esterna e l’assoluta autonomia di fronte allo Stato, ai governi e ai partiti.

Essa afferma che l’accoglimento del sindacato democratico e della sua azione nel seno della società civile organizzata determina una crescente e inderogabile esigenza strutturale della stessa e costituisce una garanzia e una difesa dell’ordine democratico.

Pertanto, mentre si ispira al principio della supremazia del lavoro sul capitale e si impegna a perseguire il miglioramento delle condizioni economiche del lavoratore e della sua famiglia e la loro elevazione morale, culturale e sociale, dall’entrata nel mondo del lavoro alla quiescenza, quale che sia la sua posizione contrattuale o pensionistica e a promuovere una politica di pari opportunità tra uomini e donne nel lavoro e nella società, ritiene che il movimento sindacale e la sua possibilità di azione si basino su una sola necessaria condizione: l’adesione libera e spontanea dei lavoratori all’organizzazione sindacale e la moltiplicazione della forza organizzativa di questa.

Decisa ad utilizzare al massimo le risorse formative proprie del movimento sindacale, essa intende, d’altra parte, fare appello al concorso delle forze intellettuali e morali capaci di servire alla preparazione dei lavoratori, in funzione delle responsabilità che loro incombono in un’organizzazione democratica della vita professionale ed economica, e della loro completa emancipazione.

La Cisl non dispone di un catechismo né di un manuale. La sua idea su se stessa, del resto, non è stata sempre identica e pacificamente condivisa. È utile perciò richiamare il nucleo fondamentale, l’idea essenziale che la Cisl ha proposto fin dalla sua nascita: il sindacato ricava la propria effettiva legittimità storica soltanto dallo stretto legame con i lavoratori, unendoli in un assetto associativo, volontaristicamente accolto e autonomo, ossia, prima di tutto, libero da qualsiasi controllo esterno, politico e organizzativo. È il sindacato dell’autonomia, dell’associazione, della contrattazione.

Autonomia: cioè indipendenza e progetto proprio. Si tratta della capacità di determinare i propri obiettivi, le vie e i mezzi per raggiungerli in piena indipendenza da qualsiasi condizionamento e da qualsiasi centro di potere privato o pubblico. Autonomia, quindi, dal padronato, dai partiti politici, dal Governo, dallo Stato.

Associazione: il sindacato è un’organizzazione che nasce per libera volontà dei lavoratori, è composto da questi lavoratori, può rappresentare di fatto anche gli altri, ma questi non hanno diritto a determinare la vita e gli orientamenti del sindacato. Questo vuol dire che la Cisl non è né istituzione statale, né indistinto movimento; che il sindacato non sta fuori dai luoghi di lavoro ma dentro; che la democrazia sindacale ha dei referenti, delle regole, è delegata, si basa sul mandato dai rappresentanti ai rappresentati.

Contrattazione: a essa il sindacato affida il compito fondamentale e primario di migliorare, in continuità, le condizioni economiche e professionali dei lavoratori. Quello contrattuale è il metodo che la Cisl ritiene nettamente superiore agli altri, alla tutela legislativa o al mutamento di prospettive politiche generali, perché impegna direttamente i lavoratori e le loro organizzazioni, perché dà concretezza e dinamismo al conflitto di interessi e lo conduce nell’alveo dei processi democratici.

La presenza sia di organizzazioni che tutelano gli interessi dei lavoratori sia di organizzazioni padronali ha fatto sì che si sviluppasse un confronto, denominato contrattazione collettiva, con lo scopo di arrivare ad un accordo, il contratto di lavoro, in grado di definire regole e procedure da osservare in un rapporto di lavoro. Una volta firmato, l’accordo diventa impegnativo per le organizzazioni che l’hanno sottoscritto e per tutti i loro aderenti, spesso assume anche valore erga omnes, cioè valido per tutti. Il contratto di lavoro è lo strumento che regola i rapporti tra lavoratori dipendenti e datori di lavoro.

La nascita della Cisl

Alla fine della Grande Guerra (’14-’18), il sindacato in Italia è totalmente controllato dai partiti. Le adesioni ai sindacati sono in continuo aumento, ma aumenta anche la diaspora sindacale. Con la nascita del fascismo e dei cosiddetti “partiti di massa”, favoriti dallo spirito nazionalista, alcuni gruppi massimalisti confluiscono in piccoli sindacati, che in parte coincidono nei nascenti sindacati fascisti. Al contempo, i cattolici fondano la Cil (Confederazione Italiana dei Lavoratori), di cui Achille Grandi proclama l’autonomia. In questa fase prevale un sindacalismo rivoluzionario, che assume a riferimento la rivoluzione russa del 1917. All’interno delle fabbriche prevale il controllo politico, atteggiamento tradotto con la frase “dalla fabbrica allo Stato”. Il suo fallimento, apre però la strada al fascismo.

Con l’avvento del fascismo e, in particolare, con i Patti di Palazzo Chigi del 1923 e di Palazzo Vidoni del 1925, si sancisce l’ammissibilità di una sola organizzazione sindacale, quella fascista. Teoricamente sono ammessi anche altri sindacati, che però non sono riconosciuti a livello contrattuale. In questa fase lo Stato regola tutta l’azione dei sindacati. Il controllo dello Stato sul sindacalismo si confà da alcune politiche significative:

  • i sindacati vengono inseriti in un sistema corporativo regolato a norma di legge. Le corporazioni riuniscono i lavoratori e datori di lavoro, e confluiscono nella Camera Nazionale del Lavoro;
  • istituzione della Magistratura del Lavoro che gestisce i conflitti sindacali. Ciò fa sì che lo sciopero e la serrata siano proibiti;
  • la contrattazione è accentrata, sottratta alla gestione da parte dei lavoratori;
  • i conflitti sociali vengono soppressi con decisioni autoritarie e il ricorso alla Magistratura.

Con la caduta del fascismo, in un’epoca di ricostruzione, si ricostituiscono i sindacati sotto il controllo dei partiti democratici (socialista, comunista e democristiano), i quali avevano guidato la resistenza al nazifascismo. In tal senso, grazie al Patto di Roma del 1944, si decide di costituire un sindacato unitario, la Cgil (Confederazione generale italiana dei lavoratori), che viene affidata ad esponenti politici come Di Vittorio, Buozzi e Grandi. Il controllo dei partiti è tuttavia deleterio per l’autonomia sindacale: nascono in quest’epoca le correnti di partito, le quali gettano le basi per una divisione interna al sindacato.

PCI (Partito Comunista Italiano) e PSI (Partito Socialista Italiano) escono dal Governo e spingono la Cgil a un atteggiamento ancora più conflittuale e politico. Tra il 1947 e il 1948 i punti di scontro all’interno della Cgil diventano irreversibili. Essi vertono su tre grandi temi: collocazione internazionale, politica salariale e uso politico dello sciopero. L’attentato a Palmiro Togliatti del 1948, leader del PCI, dà il via allo sciopero proclamato dalla componente socialcomunista.

La corrente cristiana constata che l’esperienza unitaria, priva di autonomia, è finita. Il 17 ottobre 1948 nasce la LCgil (Libera Confederazione generale italiana dei lavoratori).

Nel giugno del 1949 anche le correnti socialdemocratica e repubblicana lasciano la Cgil, costituendo la Fil (Federazione italiana del lavoro). In questa fase LCgil, Fil e sindacati autonomi cominciano a riprendere i contatti per la riunificazione.

Nasce così, il 30 aprile 1950, la Cisl, grazie alla confluenza della Libera Cgil (LCgil), di parte della Fil e di alcuni sindacati autonomi del settore dei servizi pubblici e privati. Giulio Pastore (ex segretario generale della LCgil) è il primo segretario generale.

 

Fonte: Cisl Confederale